Orecchini e collane dai corredi femminili della necropoli romana di San Donato di Lamon (BL): dallo scavo al museo

La necropoli di San Donato di Lamon rappresenta il più esteso sepolcreto di età romana rinvenuto ad oggi nel territorio bellunese. A partire dal 2000 il sito è stato indagato con regolari scavi archeologici programmati dalla Soprintendenza.

Data:
6 Agosto 2020

Orecchini e collane dai corredi femminili della necropoli romana di San Donato di Lamon (BL): dallo scavo al museo

Dati generali
Orecchini a “B” in bronzo e in argento: TBB. 5; 12, 15, 39, 50;
Collane composte da vaghi in vetro colorato, vaghi in vetro incolore con foglia metallica e pendenti a crescente lunare in argento: TBB. 3, 5, 20, 50, 65;
Provenienza: necropoli di San Donato di Lamon, Belluno, località Piasentot;

Datazione del contesto: metà del I sec. d.C. – IV sec. d.C.
Collocazione: Museo Civico Archeologico di Lamon (BL); Laboratorio di restauro della Soprintendenza*.

Rinvenimento, stato di conservazione e restauro
La necropoli di San Donato di Lamon rappresenta il più esteso sepolcreto di età romana rinvenuto ad oggi nel territorio bellunese. A partire dal 2000 il sito è stato indagato con regolari scavi archeologici programmati dalla competente Soprintendenza, che ha contestualmente avviato un progetto di studio e valorizzazione tutt’ora in corso, in stretta e proficua collaborazione con il Comune**. Le oltre 100 sepolture portate alla luce coprono un arco cronologico che va dalla metà del I al IV sec. d.C., sono orientate in senso ovest-est e si connotano sia per la presenza esclusiva della pratica inumatoria, sia per le particolari modalità con cui i defunti sono deposti all’interno delle fosse: in posizione per lo più “seduta”, con la schiena addossata alla parete e gli arti inferiori flessi o distesi, compatibilmente con le dimensioni e la morfologia della buca. Nel complesso i corredi funerari sono caratterizzati da una notevole omogeneità; mentre per gli uomini il corredo contempla pochi accessori per l’abbigliamento e in alcuni casi un coltello a serramanico, per le donne prevalgono gli oggetti di ornamento: orecchini, collane, fibule impreziosite da decorazioni, armille e anelli digitali la cui consistenza numerica varia da corredo a corredo. Le monete, presenti sia nelle sepolture maschili sia femminili, sono documentate anche in più esemplari per tomba o addirittura in piccole pile.
Gli elementi più peculiari dei corredi femminili sono gli orecchini a “B” che compaiono in diverse tombe, non di rado associati a collane composte da vaghi in vetro incolore con foglia metallica in oro o in argento, da vaghi in vetro colorato e da pendenti-amuleto in argento a crescente lunare; più rara la presenza di perle in ambra (figg. 1-3). La necropoli di San Donato di Lamon è il sito che ad oggi ha restituito il maggior numero di orecchini a “B”. Diffusa quasi esclusivamente nell’area alpina corrispondente all’attuale Trentino, questa tipologia si distingue da quella più semplice e comune con schema a “S” – di cui rappresenta probabilmente un’elaborazione – per la forma particolare. Realizzati in argento o in bronzo, gli orecchini sono attestati in diverse varianti che si distinguono per alcuni dettagli decorativi: la terminazione dell’ago semplicemente ribattuta oppure conformata ad asola o a globetto e l’elemento cilindrico in lamina, a costolature impresse negli esemplari in argento e talvolta incise nella variante in bronzo, che può presentare due vaghi biconici alle estremità (fig. 4).



Non mancano gli esempi di restauro in antico come per l’orecchino dalla tomba 50 in cui l’elemento decorativo mancante, forse danneggiato o andato perduto, è stato in parte sostituito da un vago in vetro.
Per quanto riguarda lo stato di conservazione degli orecchini e dei pendenti di collana, le principali problematiche riscontrate per gli esemplari in argento sono la deformazione per schiacciamento – dovuta sia alle caratteristiche e alla pressione del sedimento, sia a fenomeni post-deposizionali – e la fragilità del metallo, imputabile a una corrosione di tipo inter-cristallino. In alcuni casi è stato necessario intervenire sullo scavo, soprattutto per gli orecchini recuperati in frammenti, mentre in laboratorio si è proceduto alla pulizia mediante soluzioni idroalcoliche per la rimozione dei depositi di sedimento (figg. 5-7). Per i reperti in argento non sempre lo stato di conservazione ha consentito la rimozione della patina scura di solfuri. L’utilizzo di soluzioni complessanti e di bicarbonato di sodio in acqua demineralizzata è stato quindi riservato a pochi casi specifici, per restituire l’aspetto metallico agli orecchini o ai crescenti lunari meglio conservati (fig. 8). Per alcuni elementi decorativi in lamina sagomata a “tubetto” e per pendenti molto frammentati e lacunosi, la ricomposizione ha richiesto l’approntamento di piccoli supporti semirigidi o rigidi, opportunamente sagomati e realizzati a seconda dei casi in velatino di seta pretrattato con Paraloid® B 72 in acetone – applicato anche come protettivo e consolidante a fine restauro – o in resina poliacrilica o poliestere rifinita con colori acrilici.



Il grado di preservazione dei vaghi di collana recuperati sullo scavo o durante la setacciatura del sedimento varia sensibilmente in funzione delle caratteristiche composizionali del vetro, della maggiore o minore integrità del sottile strato a protezione della foglia metallica e dell’eventuale frammentazione dei vaghi (figg. 9-10). Le lacune e le fessurazioni del rivestimento vitreo rappresentano infatti una via di degrado preferenziale, permettendo l’infiltrazione di acqua e di sedimento con conseguente distacco e perdita della sottile foglia metallica. La pulitura è stata effettuata con soluzioni di acqua/alcool/acetone in proporzioni diverse utilizzando pennelli da ritocco a punta fine, scovolini interdentali, segmenti di filo di nylon sagomati alle estremità e stuzzicadenti in plastica o legno (figg. 11-12).


Al consolidamento dei vaghi con Paraloid® B 72 in acetone o Mowital® B 60 HH in alcool etilico a 95°, è seguita la fase di ricomposizione per quelli frammentati. Sono state impiegate le medesime resine a concentrazioni variabili, sfruttando al massimo la fluidità delle soluzioni e la reversibilità degli incollaggi, anche mediante un’applicazione controllata dei solventi funzionale al corretto riallineamento dei frammenti (fig. 13). Per esigenze espositive alcune collane sono state rimontate utilizzando un sottile filo di nylon o, eccezionalmente, di cotone. Le sequenze riproposte restano in ogni caso interpretative, non essendo state documentate sullo scavo sequenze sufficientemente ampie di vaghi in posto (figg. 14-17).




Note sulla tecnica esecutiva
La versione in argento degli orecchini sembra caratterizzata nella maggior parte degli esemplari presi in esame da una lavorazione più accurata, resa possibile anche dalla duttilità e malleabilità del metallo. L’argento utilizzato ha un elevato grado di purezza, come si evince dalla mancanza di ossidazioni del rame, e la quantità di metallo richiesta era piuttosto modesta. Pochi gli strumenti di lavoro indispensabili per ottenere il prodotto finito: un martello per spianare la lamina, un punzone o uno stampo per imprimere su di essa le costolature, uno scalpello da taglio per sagomare la lamina e tagliare il filo, realizzato per torsione di una sottile fettuccia di lamina, e un abrasivo per lucidare il metallo. Non era necessario ricorrere alla saldatura in quanto le singole parti venivano fissate o articolate tra loro mediante semplici vincoli meccanici e serrati avvolgimenti del filo metallico (fig. 18). Anche per la versione in bronzo era richiesta la deformazione meccanica a freddo di semilavorati, con la differenza sostanziale che il filo non veniva prodotto torcendo una fettuccia in lamina, ma per progressivi passaggi di allungamento e regolarizzazione di una barretta realizzata in fusione. Per completare il lavoro con i dettagli decorativi, come le incisioni sul “tubetto”, si ricorreva a una punta o a un cesello; i vaghi biconici sono in fusione piena.
Per quanto riguarda i vaghi con foglia metallica, i più numerosi hanno una forma sferica leggermente schiacciata ai poli, con una struttura interna a “sandwich” caratterizzata da un nucleo centrale in vetro forato e rivestito da una sottile lamina in oro o argento, a sua volta ricoperta e protetta da un secondo strato di vetro sottile, incolore e trasparente (figg. 19-20). Il nucleo di vetro più interno, da incolore a leggermente rosato o giallastro, si otteneva partendo dalla lavorazione di una sottile canna forata in vetro; seguiva l’applicazione a freddo della foglia metallica e, a caldo, quella di un secondo strato molto sottile di vetro, a protezione della foglia stessa. Infine, la fase di formatura dei vaghi prevedeva il rammollimento con il calore della canna vitrea che veniva fatta rollare su una piastra in pietra, metallo o in altro materiale refrattario dotato di apposite scanalature (fig. 21). La separazione dei singoli vaghi era eseguita a freddo, tagliando o spezzando la canna in corrispondenza di piccole intaccature praticate tra un vago e l’altro (fig. 22). Numerose sono anche le perline ottenute lasciando uniti a piccoli gruppi i vaghi di forma sferica, mentre appaiono scarsamente rappresentate le varianti più complesse a “rocchetto” o con superficie decorata da piccole bugne (fig. 23). Il complesso processo tecnologico necessario per arrivare al prodotto finito richiedeva maestranze altamente specializzate nella lavorazione del vetro; i vaghi con foglia metallica dovevano quindi rappresentare un bene di importazione molto ricercato e apprezzato, come si evince anche dall’elevato numero di collane restituite dai corredi femminili (fig. 24).
Alle tecniche di lavorazione relative ai reperti più significativi rinvenuti nella necropoli è dedicata una apposita vetrina del percorso espositivo del Museo di Lamon.




Testo, disegni e immagini di Sara Emanuele

* Il restauro dei corredi e le operazioni di recupero e primo intervento sono stati effettuati da chi scrive a partire dalle prime campagne di scavo. Per i corredi rinvenuti nel 2018 l’intervento è ancora in corso.

** L’indagine archeologica è stata condotta dalla Ditta D. Pacitti sotto la direzione scientifica di Marisa Rigoni, già funzionario archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, per le campagne dal 2000 al 2009 e di Chiara D’Incà, funzionario archeologo della Soprintendenza ABAP per l’area metropolitana di Venezia per le province di BL, PD e TV per la campagna 2018. Una prima e significativa selezione di corredi ha trovato collocazione nel 2005 presso il Museo Civico Archeologico di Lamon con l’obiettivo di valorizzare i rinvenimenti della necropoli in seno alla comunità locale. Nel 2015, a seguito delle ultime campagne di scavo e dei successivi restauri, è stata allestita presso l’ex Chiesa di San Daniele l’esposizione temporanea dal titolo “Antiche genti a San Donato. Nuovi reperti dalla necropoli romana”.


Riferimenti bibliografici:

Casagrande C. 2005, La necropoli romana di S. Donato di Lamon (BL): considerazioni preliminari sui materiali, in I territori della Via Claudia Augusta: Incontri di Archeologia, a cura di G. Ciurletti, N. Pisu, Trento, pp. 103-108.

Casagrande C. 2013, Il culto dei morti, in Belluno. Storia di una provincia dolomitica, a cura di P. Conte, vol.1, Dalla preistoria allepoca romana, Udine, pp. 268-274.

D’Incà C., Rigoni M. 2018, La necropoli romana di San Donato di Lamon (Belluno), in Memento mori. Ritualità, immagine e immaginario della morte nelle Alpi, a cura di L. Giarelli, Tricase (LE), pp. 247-256.

Emanuele S. 2011, Tecnologie e tecniche costruttive dei manufatti duso e di ornamento rinvenuti nella necropoli romana di San Donato di Lamon (Belluno), in AV 34, pp. 132-143.

Emanuele S. 2016, Le tecniche di lavorazione, in La necropoli romana di San Donato. Guida del Museo Civico Archeologico di Lamon, a cura di C. D’Incà, M. Rigoni, Rasai di Seren del Grappa (BL), pp. 35-42.

Ultimo aggiornamento

24 Giugno 2021, 17:49