Archeologia fluviale: la ricchezza nascosta del fiume Bacchiglione

Il contesto padovano è stato lo scenario dell'attività di indagini subacquee da parte di numerose associazioni che, instaurando collaborazioni ad ampio raggio con la Soprintendenza, l'Università e gli enti locali, hanno contribuito a dare, in particolare al fiume Bacchiglione, una dignità archeologica di primo livello.

Data:
18 Agosto 2021

Archeologia fluviale: la ricchezza nascosta del fiume Bacchiglione

Archeologia dei paesaggi fluviali

L’archeologia subacquea è ad oggi uno dei principali motori per lo studio dei paesaggi fluviali; seppur arrivata piuttosto in sordina ad occuparsi dei fiumi, certamente oscurata da un entusiasmo più percepibile per l’archeologia condotta in mare, ha permesso l’emergere di nuove sensibilità e l’affermarsi di filoni di ricerca specifici.

In Veneto, come anche nelle regioni limitrofe, è probabilmente il settore dell’associazionismo sportivo ad aver dato, in un primo momento, un senso e un’importanza all’archeologia subacquea in contesto fluviale; quasi ogni grande città attraversata da importanti corsi d’acqua ha visto svilupparsi interessanti realtà locali, come Padova, Treviso, Vicenza. Verona costituisce caso a sé, in quanto le indagini subacquee hanno preferito concentrarsi nell’ambiente lacustre del Garda. È, però, il contesto padovano ad aver visto la nascita e l’attività frenetica di numerose associazioni, in grado di instaurare collaborazioni ad ampio raggio con la Soprintendenza, l’Università, gli enti locali. Tutte le attività e le indagini subacquee svolte, almeno dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, hanno contribuito a dare, in particolare al fiume Bacchiglione, una dignità archeologica di primo livello.

Archeologia lungo il Bacchiglione

I dati provenienti dalle indagini indicano l’importanza di tale fascia planiziaria nelle dinamiche di popolamento susseguitesi da età pre-protostorica fino ai giorni nostri. Dal punto di vista topografico i rinvenimenti subacquei più consistenti si concentrano nel tratto padovano compreso tra Cervarese S. Croce e Selvazzano Dentro, pur non mancando segnalazioni e recuperi da tratti a monte (Longare-Montegalda) e a valle (Ponte San Nicolo’-Pontelongo).

La maggior parte dei reperti è costituita da materiali mobili. Se per i periodi precedenti il II millennio a.C. le testimonianze di attività dell’uomo nel territorio sono state rinvenute in maniera sporadica nel corso di indagini di superficie, successivamente, assistiamo ad una esplosione delle presenze sia a livello quantitativo che qualitativo, distribuite anche in ambiente subacqueo. In effetti, i reperti (ceramiche, strumenti in osso-corno, bronzi) appartenenti all’intero corso del Bronzo, relativi ad abitati situati nei pressi del fiume ed erosi progressivamente dalle correnti, sono distribuiti in modo praticamente omogeneo lungo il corso fluviale benché le evidenze più importanti siano localizzate presso Trambacche di Veggiano e Creola di Saccolongo, ad ovest di Padova; a Trambacche è presente, in acqua, una serie di strutture lignee verticali e orizzontali probabilmente riferibili ad un abitato perifluviale di tipo palafitticolo attribuibile, sulla base delle evidenze stratigrafiche in sponda e delle connessioni con il giacimento subacqueo, alla fase antica dell’età del Bronzo (XIX-XVI sec.a.C.). Nonostante il progressivo mutamento delle dinamiche insediative durante il Bronzo medio (XVI-XIV sec. a.C.), sembra certo che la frequentazione dell’asse fluviale del Bacchiglione si sia intensificata; i materiali ceramici sono infatti molto numerosi, anche se una particolare concentrazione è stata riconosciuta nei pressi di Creola dove, in corrispondenza di un meandro relitto, giace in frammenti numeroso vasellame. In tale periodo si manifesta per la prima volta un ben noto fenomeno archeologico, che ha lasciato cospicue tracce anche lungo il Bacchiglione: la deposizione cultuale di armi nelle acque dei fiumi. Fra i rinvenimenti principali vi sono due spade Sauerbrunn, tipo presente soprattutto in località del Veneto orientale, che si ritengono prodotte in officine alpino-orientali. La continuità insediativa attraverso il Bronzo recente e finale è testimoniata dalla presenza di materiale ceramico distribuito in varie località e probabilmente attribuibile ad abitati posti su dossi sabbiosi perifluviali; continuano anche le evidenze di culti delle acque, ai quali sarebbero riferibili i rinvenimenti di una spada tipo Cetona (Bronzo recente), una tipo Allerona e alcune cuspidi di lancia (Bronzo finale). Forse trattasi di ripostigli posti presso paleoalvei, in seguito smembrati.

Il primo millennio a.C. è caratterizzato dalla nascita, sviluppo e decadenza della cultura dei Veneti antichi. Alla rarefazione degli insediamenti del Bronzo finale, si contrappone un graduale ripopolamento di gran parte del Veneto a partire dalla prima età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.), con tracce di frequentazione nel territorio vicentino e padovano che diverranno successivamente, con lo sviluppo dei centri proto-urbani di Este e Padova, esito di una più organizzata occupazione del territorio, con la presenza di centri minori localizzati lungo gli assi fluviali più importanti. Fondamentale il ritrovamento di una serie di materiali ceramici provenienti da contesto abitativo -probabilmente perifluviale- e databili proprio alla prima età del Ferro, rinvenuti in stratigrafia spondale nei pressi di Trambacche. Le differenziazioni socio-economiche in atto durante l’VIII secolo, con la proiezione di Padova verso la sfera culturale halstattiana, sono ben riconoscibili nella cultura materiale anche per lo straordinario rinvenimento, nelle acque di Cervarese, di un lebete con attacchi a croce iscritto (tipologia che continua fino al pieno VI sec). Numerosi sono proprio i recuperi di situle bronzee, riferibili forse a contesti funerari databili tra VI e V secolo a.C.

La penetrazione lungo il territorio caretterizzato dal fiume diventa massiccia nei due secoli successivi: testimonianza ne sia, oltre alla fondazione della città di Vicenza, anche il recupero dalle acque del Bacchiglione, di moltissimo materiale ceramico. In effetti, oltre ai reperti fittili riferibili a contesti abitativi, è probabile che in località Trambacche sia stata presente anche una necropoli (o comunque un’area sacra), la presenza della quale sarebbe provata dal rinvenimento di alcuni ciottoloni funerari, di cui alcuni iscritti. La saturazione del territorio, interessato da molteplici attività economiche, si manifesta tra il V e il II secolo a.C., periodo in cui la produzione fittile tipica è rappresentata da materiali in argilla grigia, quasi ubiquamente localizzati lungo il corso del Bacchiglione tra Cervarese S. Croce e Padova.

Una parte della documentazione disponibile per l’età romana è costituita dalle fonti letterarie. Strabone (Geog. V, 1, 7, 213), Livio (X, 2, 6) e Plinio (Nat. Hist. III, 121) ricordano per vari motivi il fiume principale di Padova, il Meduacus-Brenta, che in età romana attraversava la città, mentre nessun autore nomina il fiume Bacchiglione, il quale però esisteva con il nome di uno dei suoi attuali affluenti, ovvero il Retrone. La graduale integrazione dei territori veneti nei dominii di Roma, tra il II e il I sec. a.C., trova una strutturazione del paesaggio fluviale piuttosto definita. L’insediamento sparso d’età precedente ora si mette a disposizione delle esigenze dei centri maggiori vicini (Padova e Vicenza in primo luogo); la collocazione delle ville rurali e degli impianti produttivi proprio in prossimità dei corsi d’acqua facilita, infatti, il trasporto e l’esportazione delle derrate agricole e dei materiali da costruzione: ceramiche e laterizi romani rinvenuti nel Bacchiglione sono perciò generalmente attribuibili ad insediamenti rustici facenti parte dell’agro patavino. Non si dimentichi, in ogni caso, che la fascia di territorio tra Padova e Vicenza era servita anche dalla viabilità terrestre, con un percorso di raccordo tra le direttrici maggiori della via Annia (proveniente da Adria) e della Postumia (diretta ad Aquileia); tale percorso, forse esistente in nuce in età veneta, sarebbe stato poi ricalcato -in tempi moderni- dalla Statale 11-Padana Superiore. In ogni caso la maggior parte dei traffici commerciali pesanti avveniva su acque interne: il marmo, la pietra, la sabbia, la calce furono indubbiamente trasportati per via fluviale; molto richiesti per le esigenze dell’architettura cittadina, delle strutture viarie, dei ponti, erano il botticino di Brescia, il rosso di Verona, la trachite dei Colli Euganei, la pietra di Vicenza, l’arenaria dell’Appennino e la pietra d’Istria. Presso Cervarese Santa Croce giace un interessante deposito di pietra calcarea lavorata, che occupa un’area di circa 12 x 15 m ed è caratterizzato dalla presenza di 8 rocchi di colonna in trachite privi di scanalature, verosimilmente lisciati a colpi di scalpello, dotati di fori centrali non passanti e di cavità circolari per la ricezione dei perni di fissaggio. Poco distanti dai rocchi, lungo un allineamento a loro quasi parallelo, giacciono 13 parallelepipedi e 3 capitelli in calcare tenero del Vicentino a base quadrata e di ordine tuscanico; il peso totale degli elementi litici individuati si aggirerebbe intorno alle 20 tonnellate. La disposizione degli elementi sembra riferibile ad un carico posto su due imbarcazioni (di cui, ad oggi, non è visibile alcun elemento). Nella stessa Padova il calcare berico fu utilizzato, insieme alla trachite euganea (in particolare quella di Montemerlo), nella realizzazione dei maggiori monumenti (ponti, teatro, anfiteatro) della prima fase edilizia del municipium romano; inoltre, gli stessi materiali servirono, dalla seconda metà del I sec. a.C., per portici di modeste dimensioni in ordine tuscanico. È probabile, dunque, che il materiale sia riferibile alla prima fase di dominazione romana in Veneto, anche se le prove attualmente risultano insufficienti.

I laterizi necessari per l’edilizia delle zone di pianura prive di pietra da costruzione, dovevano essere trasportati per via d’acqua, a causa del loro peso e fragilità, a partire dai latifondi che ne gestivano la produzione; numerosi sono, infatti, i siti subacquei caratterizzati dalla presenza di ingenti accumuli di embrici, tegole e mattoni da costruzione, forse esito di naufragi. A ciò si aggiunga il trasporto del sale, del legno e del vino. Nonostante questa panoramica, i materiali d’età romana presenti nell’alveo del Bacchiglione (vasellame domestico e materiali da costruzione) sono meno numerosi di quelli d’età precedente e successiva e si datano complessivamente al periodo compreso tra il I e il III secolo d.C.. Delle numerose tipologie di imbarcazioni che le fonti classiche citano e che dovevano affollare i corsi d’acqua interni ben poche sono quelle identificabili, a causa della frammentarietà delle conoscenze dirette di scafi romani scoperti nelle acque fluviali italiane, quasi del tutto limitati al tipo delle imbarcazioni monossili. È però plausibile che alcuni resti lignei individuati (e non ancora sufficientemente indagati) sempre a Cervarese S. Croce, in associazione con materiale da costruzione d’età romana, possano appartenere al relitto di una imbarcazione a fasciame di tavole e a fondo piatto.

Il collasso dello stato romano e del sistema di collegamenti terrestri non coinvolse in modo altrettanto netto la rete dei trasporti in acque interne, benché essa uscisse ridimensionata in età tardo-antica e alto-medievale, tra la breve dominazione bizantina e quella longobarda. Di tale periodo, ad eccezione di due grandi scafi monossili rinvenuti a Selvazzano Dentro, datati alla metà del VII sec. d.C. ed ora esposti al Museo del Fiume presso Cervarese S. Croce, non vi è praticamente alcuna traccia archeologica in alveo. Una ripresa della navigazione interna su vasta scala, si avrà soltanto a partire dal XII secolo, quando i liberi comuni promuoveranno i commerci, restaurando i canali nei propri territori e stipulando accordi economici di vario tipo. La ripresa è data anche dai numerosi impianti molitori situati sulle sponde del Bacchiglione a Trambacche, Creola, Tencarola, destinati alla macinazione del grano ma anche alla follatura dei panni e ad altre molteplici attività artigianali, che animarono almeno fino al secolo scorso il paesaggio fluviale tra Padova e Vicenza. Il territorio, economicamente prospero, fino alla conquista veneziana di inizio XV secolo fu al centro delle contese tra i due grandi comuni, che diedero vita a numerosi scontri, anche cruenti, per il possesso delle piazzaforti sparse lungo il Bacchiglione, da Montegalda a Trambacche e Selvazzano. Testimonianze dirette di tale stato di cose sono le numerose armi rinvenute nell’alveo del fiume insieme a centinaia di oggetti della vita quotidiana, tra cui ovviamente moltissima ceramica da mensa. Durante il dominio pluri-secolare della Serenissima il Bacchiglione non godette di grande fortuna; Vicenza effettuava modesti scambi con Padova e i carichi spesso prendevano la via del canale Bisatto, aggirando i Colli Euganei e arrivando direttamente a Battaglia Terme. Lungo il Bacchiglione navigavano soprattutto piccoli convogli-merci e burchielli che conducevano alle numerose ville sorte nelle vicinanze delle sue rive dopo il XVII secolo e che potevano trovare riparo (oltre che strutture di riparazione) presso gli approdi e i cantieri che affollarono le rive del fiume fino all’inizio degli anni Sessanta, quando anche la piccola navigazione commerciale fu spazzata via dalla rivoluzione dei trasporti su strada.

Tutelare e valorizzare la memoria dei fiumi

Il Bacchiglione gode oggi di una particolare convergenza, del tutto favorevole, che permette di guardare con ottimismo al futuro della conservazione e fruizione del patrimonio culturale ad esso legato. La presenza di un museo dedicato, ospitato dal 1995 nel suggestivo castello di Santa Maria della Vaneza a Cervarese S. Croce (PD), l’istituzione amministrativa di un’unione di comuni (Unione Retenus), l’attenzione particolare alle tematiche connesse al rischio idraulico e alle potenzialità archeologiche, favoriscono certamente la possibilità che sorgano iniziative di rilievo culturale e scientifico, sulla scia anche di percorsi già aperti, come in occasione del progetto Cura Riparum, iniziato dalla ex Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto nel 2014 e oggi sostenuto dalla nostra Soprintendenza attraverso iniziative di studio, divulgazione e indagini subacquee in corso di programmazione.

Ultimo aggiornamento

18 Agosto 2021, 15:13