Il restauro di una collana rinascimentale dall’area cimiteriale del complesso archeologico di San Mauro di Noventa di Piave (VE)

Il restauro è avvenuto presso il Laboratorio di restauro della Soprintendenza nella sede di Palazzo Folco, a Padova.

Data:
4 Settembre 2020

Il restauro di una collana rinascimentale dall’area cimiteriale del complesso archeologico di San Mauro di Noventa di Piave (VE)



Dati generali
Collana polimaterica costituita da 16 vaghi in vetro e da 29 vaghi in osso.
Dimensioni: il diametro della perla in vetro non supera il cm, mentre quello delle sferule che lo rivestono è compreso tra 0,1 e 0,15 cm; i vaghi in osso hanno un diametro compreso tra 0,3-0,4 cm; il diametro del foro passante è di 0,2 cm. La collana rimontata su filo misura circa 30 cm.
Provenienza: Noventa di Piave (VE), complesso archeologico di San Mauro, tomba 49.
Datazione : XV sec.
Collocazione: Laboratorio di restauro della Soprintendenza ABAP per l’area metropolitana di Venezia e le province di BL, PD e TV, Via Aquileia 7 – P.zzo Folco, Padova.

Rinvenimento, stato di conservazione e restauro
Nel corso delle indagini archeologiche condotte nell’estate del 2010 nel complesso archeologico pluristratificato di San Muro a Noventa di Piave (Venezia) è stata indagata un’ampia area cimiteriale*. Tra le sepolture messe in luce, connesse ai diversi edifici di culto stratificatisi nel tempo, si segnala per la presenza di un ornamento personale la tomba 49, caratterizzata da una fossa rettangolare irregolare con pareti quasi verticali e fondo leggermente concavo (fig. 1). All’interno della sepoltura a inumazione – datata sulla base del contesto stratigrafico al XV secolo e riferibile all’area cimiteriale esterna dell’ultima delle tre chiese, sovrapposte, di età medioevale – era deposto in posizione supina e con il capo rivolto a est un soggetto femminile di età adulta avvolto in un sudario tenuto chiuso da uno spillone in bronzo. La presenza di alcuni chiodi in ferro e di un frammento ligneo nella zona del bacino attesta la presenza di una cassa lignea, non conservatasi. In corso di scavo, all’altezza delle vertebre cervicali, sono emerse numerose perle in vetro associate a vaghi in osso, pertinenti a una collana indossata dalla defunta.
La documentazione in posto di un’ampia sequenza di vaghi in connessione ha consentito dopo il restauro di riproporre il monile nel suo aspetto originario, anche se i processi di degrado dei materiali costitutivi, dovuti alla prolungata permanenza nel sottosuolo, non consentono di cogliere appieno gli originari rapporti cromatici tra le perle in vetro e i vaghi in osso (figg. 2-3). Il vetro utilizzato per le sferule della granulazione, originariamente di colore viola-bluastro scuro è infatti caratterizzato dalla presenza di strati di alterazione bruno nerastri che ricoprono una superficie dall’aspetto bianco perlaceo, iridescente, resa fragile e porosa dai processi di degrado; anche le sferule di colore chiaro (petali delle rosette) sono interessate da un sottile deposito di colore marrone. In alcuni casi le sferule sono andate perdute o si presentavano prima dell’intervento staccate dal nucleo centrale (figg. 4-5).
I vaghi in osso appaiono nel complesso meglio conservati, ma per contiguità con il tubicino in rame ossidato che riveste il foro delle perle in vetro hanno assunto una colorazione più o meno intensa di colore verde dovuta all’assorbimento dei sali di rame (fig. 6).



L’intervento conservativo è consistito nella rimozione dei depositi residuali di sedimento mediante pennelli da ritocco a punta extra fine, umettati in soluzioni di alcool etilico 95°/acqua demineralizzata e/o acetone. Constatata l’estrema fragilità del materiale vitreo, non è stato possibile – se non i rari casi – approfondire la pulitura per recuperare almeno in parte gli originari rapporti cromatici e su molte sferule bianche (petali delle rosette) si è optato per il mantenimento dei depositi (fig. 7).
Le perle che presentavano cadute ed esfoliazioni degli strati superficiali sono state quindi consolidate con ripetute applicazioni di resina acrilica a bassa concentrazione in acetone (Paraloid® B 72), utilizzata anche per riposizionare alcune sferule non più adese al nucleo centrale delle perle.
Per i vaghi in osso, meno problematici, è stata sufficiente una sola applicazione di soluzione consolidante. L’osservazione al microscopio stereoscopico delle perle durante la fase di pulitura ha reso possibile documentare mediante macrofotografie alcune tracce del filo originale in fibra organica, parzialmente conservatosi grazie all’assorbimento dei sali di rame, che come noto ostacolano lo sviluppo degli organismi biodeteriogeni. (fig. 8).
Per esigenze espositive i vaghi sono stati rimontati in forma di collana utilizzando un filo di cotone ritorto di colore antracite (figg. 9-11); contestualmente, e in previsione della movimentazione, è stato realizzato un supporto su misura in cui alloggiare il reperto (figg. 12-13). A breve distanza di tempo dal restauro, infatti, la collana è stata allestita presso il CEMA – Centro Espositivo Multimediale dell’Archeologia, all’interno del Veneto Designer Outlet. Dell’originale, posizionato su una copia di un busto rinascimentale, è stata realizzata una replica olografica (figg. 14-15)**.





Note sulla tecnica esecutiva
Le perle in vetro sono quasi completamente rivestite e decorate da piccole sfere vitree realizzate in due differenti colori a contrasto: i fiori a rosette sono ottenuti con sei sferule di colore chiaro per i petali e una sferula di colore scuro per il bottone centrale.
Questa particolare tipologia di perla vitrea veniva realizzata con il metodo definito a lume che utilizzava una fiamma per l’assemblaggio a caldo dei diversi elementi: la sfera vitrea principale, che risulta forata e contenente un tubicino di rame, veniva riscaldata alla fiamma fino a renderla sufficientemente molle per ricevere l’applicazione delle minuscole sferule che rivestono interamente la superficie creando un effetto “a granulazione”, tanto che le perle possono ricordare per aspetto e colore delle piccole more di rovo.
E’ probabile che i tre fiorellini o rosette che decorano ogni singola perla della collana venissero prima composti sopra un’apposita piastra e poi “raccolti” dalla perla di vetro ammorbidita con il calore mediante rollatura; il resto della superficie veniva poi interamente coperto da sferule di colore scuro (figg. 16-17).
La formatura della perla si effettuava raccogliendo il vetro attorno a un ago in ferro che veniva sfilato a lavorazione conclusa; il tubicino di rame aveva la funzione di impedire alla perla di aderire all’ago (figg. 18-20). Alcune perle in vetro di epoca rinascimentale, rinvenute nel 2000 durante lo scavo del butto del convento di Santa Chiara presso la Questura di Padova, mostrano all’interno del foro lo stesso accorgimento tecnico adottato per le perle della collana di Noventa (fig. 21). Solo in epoche più recenti si troverà il modo di rimuovere chimicamente il tubicino di rame per lasciare un foro perfettamente pulito; il procedimento di formatura delle perle attorno a un tubicino di rame che veniva poi disciolto in acido è infatti attestato a Murano a partire dagli anni ’30 del secolo scorso.





Un confronto puntuale per questa particolare tipologia di perla vitrea proviene da una delle sepolture emerse duranti gli scavi condotti nel 2004 all’interno della chiesa di Santa Maria della Strada a Taurisano (Lecce), sotto la pavimentazione dell’edificio. Nella tomba VII, attribuibile a un soggetto femminile, sono state rinvenute alcune perle in vetro con una decorazione a sferule applicate del tutto analoga a quella osservata per le perle della sepoltura di Noventa. Per le perle in vetro di Taurisano, associate a vaghi più piccoli in ambra di forma poliedrica, viene avanzata l’ipotesi che, nonostante la delicatezza della fattura, possano essere pertinenti a un “paternostro”. Infine, un confronto iconografico stringente per le perle in vetro decorate “a granulazione” si trova in un dipinto datato al 1450 circa, attribuito a Paolo Uccello e conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York. La dama, ritratta di profilo, indossa un filo di perle di due diversi colori, oblunghe di colore chiaro e sferiche di colore scuro, molto simili a quelle della collana rinvenuta nella sepoltura di Noventa di Piave (fig. 22).
Per quanto riguarda i vaghi in osso, l’osservazione a modesto ingrandimento ha evidenziato tracce di lavorazione riferibili a un trapano verticale o a volano (fig. 23). Un interessante rinvenimento di materia prima, di semilavorati e di scarti di lavorazione recuperati nel 1953 all’inizio di via Giustiniani a Padova, all’interno di una trincea per la posa in opera di condutture, può contribuire a chiarire la catena operativa dei vaghi in osso, utilizzati spesso come grani di rosario. Si tratta di materiali riferibili molto probabilmente a una bottega artigianale di modeste dimensioni in cui venivano lavorate ossa di bovino, materiale povero e di scarto, per la realizzazione di piccoli manufatti in osso. Per ottenere i vaghi a partire da sezioni trasversali di ossa lunghe si tagliavano innanzitutto dei dischi di spessore variabile dai 3,5 ai 7 millimetri dai quali, in corrispondenza della parte più compatta dell’osso, l’artigiano ricavava poi i singoli vaghi.
Per la foratura si ipotizza l’utilizzo di un trapano verticale a corda avvolgente dotato di una punta a lancia, sostituita da una punta o fresa a ghiera dentata nella fase di formatura dei vaghi. La presenza di uno scalino in corrispondenza del diametro maggiore dei vaghi, osservato anche per i vaghi della collana di Noventa di Piave, è chiaramente indiziario di una lavorazione condotta su entrambi i lati del disco in osso: ottenuta una semisfera su un lato del disco lo stesso veniva capovolto e la lavorazione ripetuta con la medesima tecnica sul lato opposto (figg. 24-26). All’epoca del recupero, che si deve a Otto Mazzucato, i lavori non furono seguiti dalla competente Soprintendenza e in assenza di dati stratigrafici i materiali vennero datati genericamente all’epoca rinascimentale per confronto con materiali simili provenienti da altri contesti.



Testo, disegni e immagini di Sara Emanuele, dove non diversamente specificato nelle didascalie.


*L’indagine archeologica è stata condotta in cantiere dal dott. Vincenzo Gobbo della Ditta D. Malvestito & C. snc con la direzione scientifica dei funzionari archeologi Alessandro Asta e Francesco Cozza. La ricerca, avviata sulla base di un accordo di programma tra l’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto e la Società Veneto Designer, rientrava nel progetto di valorizzazione scientifica e turistica del sito finanziato da Veneto Designer Outlet. L’area archeologica è attualmente fruibile al pubblico grazie a un importante intervento di restauro e alla contestuale realizzazione di una copertura permanente posta a protezione delle strutture.


**Il restauro della collana, iniziato nel mese di febbraio 2011, si è concluso a marzo dello stesso anno. La Mostra è stata curata da Francesco Cozza, all’epoca funzionario archeologo in capo alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, da Vincenzo Gobbo e da chi scrive in stretta collaborazione con il Centro Espositivo Multimediale dell’Archeologia (Veneto Designer Outlet), la Sala Consiliare del Municipio di Noventa di Piave e l’Associazione Culturale Noventa e Storia. L’allestimento e la promozione dell’evento si devono a Cultour Active.



Riferimenti bibliografici:

Arthur P. et alii 2005, La chiesa di Santa Maria della Strada, Taurisano (Lecce). Scavi 2004, in “Archeologia Medievale” 32 (2005), pp. 173-205.

Cozza F., Emanuele S., Gobbo V. 2012, La dama della collana, in “Archeologia Veneta” 34 (2011), pp. 233-239.

Cozza F., Emanuele S., Gobbo V. 2011, La dama della collana. Come trovare un tesoro prezioso? Cercando nella storia (Brochure realizzata in occasione della XIII Settimana della Cultura, 9-17 aprile 2011: “La dama della collana”, Noventa di Piave – VE, Centro espositivo Multimediale dell’Archeologia CEMA c/o Veneto Designer Outlet).

Mazzucato O. 2007, Una particolare lavorazione dell’osso nel periodo rinascimentale a Padova, in “Archeologia Veneta” 25-26 (2002-2003), pp. 179-184.

Ultimo aggiornamento

24 Giugno 2021, 17:48