Il restauro della fibula con elementi in ambra della Tomba 10 di Pieve d’ Alpago (BL)

Il rinvenimento di un reperto in stato frammentario può fornire una straordinaria occasione per l’osservazione di particolari e di dettagli tecnologici altrimenti non visibili; un caso emblematico è rappresentato dalla fibula, della quale durante le operazioni di restauro, è stato possibile ricostruire la particolare tecnica di esecuzione.

Data:
24 Giugno 2020

Il restauro della fibula con elementi in ambra della Tomba 10 di Pieve d’ Alpago (BL)

Dati generali del reperto

Fibula in bronzo ad arco rivestito da elementi in ambra
Dimensioni: lunghezza cm 8,8
Provenienza: Pieve d’ Alpago (BL) – Località Pian de la Gnela, Tomba 10
Contesto: necropoli preromana
Datazione: fine VI secolo a.C.- inizio V secolo a.C.
Data Restauro/Restauratore: 2005 – Silvano Buzzarello
Collocazione: Soprintendenza

Rinvenimento, stato di conservazione e restauro

La fibula appartiene al corredo della tomba 10 proveniente dalla necropoli preromana di “Pian de la Gnela”, nel comune di Alpago. Dopo il rinvenimento di un’ eccezionale situla istoriata in bronzo, che ha permesso l’individuazione della necropoli, a partire dal 2003 l’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto avviò una serie di campagne di scavo sistematico, sotto la direzione scientifica del funzionario archeologo dott.ssa Giovanna Gangemi, che si concluse nel 2012 restituendo una decina di sepolture a cremazione, per la maggior parte caratterizzate da un ricchissimo corredo.* Dopo il recupero i materiali delle tombe sono state consegnati al Laboratorio della Soprintendenza, dove sono stati eseguiti il microscavo delle urne cinerarie e il restauro di tutti i reperti rinvenuti.**
La tomba 10 era costituita da una cassetta litica, all’interno della quale erano deposti una cista bronzea, con funzione di ossuario, uno scettro-conocchia decorato, una fusaiola in piombo, un ago in bronzo e dei vaghi in ambra e in materiale vetroso, tutti elementi connessi alla filatura (figg. 1-2).



A pochi mesi dal recupero, nel marzo del 2005 viene programmato il microscavo della cista-ossuario, un contenitore di forma cilindrica realizzato in lamina di bronzo, privato intenzionalmente del manico secondo un rituale di defunzionalizzazione (figg. 3-4). Il microscavo consiste nell’ asporto del contenuto dell’urna, seguendo il criterio stratigrafico proprio dello scavo archeologico: individuata la correlazione con le unità stratigrafiche dello scavo, si è proceduto per tagli orizzontali. Ogni fase è stata documentata con fotografie e con disegni in scala 1:1, eseguiti con l’ausilio di una griglia suddivisa in riquadri e di un piccolo piombo per rilevare la posizione dei reperti e registrarne le quote a partire dal punto di massima altezza del contenitore (figg. 5-8).
Tutti i materiali organici sono stati campionati e analizzati mentre le ossa sono state oggetto di uno studio antropologico, che le ha attribuite a un individuo di sesso femminile di età compresa tra i 20 e i 30 anni. ***



Tra i numerosi elementi di corredo, costituito prevalentemente da oggetti di ornamento femminili in bronzo (armille, fibule con preziosi pendagli, anelli, elementi di collana) è stata rinvenuta anche la fibula con l’arco rivestito da elementi in ambra, che è stata scelta per questo contributo come caso significativo, sia per la raffinatezza del materiale sia per le particolari condizioni di recupero, che hanno reso possibile individuare alcune peculiarità di carattere tecnologico.
Dal punto di vista conservativo la fibula non presentava particolari problemi, come del resto quasi tutti i materiali metallici di “Pian de la Gnela”. Una concomitanza favorevole dei diversi fattori che caratterizzano il terreno di giacitura, composizione del suolo, grado di acidità, presenza di sali e di microrganismi, per citare i principali, ha contribuito al mantenimento dei metalli e delle ambre in buono stato di conservazione, al contrario dei fittili. Inoltre, l’intervento di restauro eseguito a poca distanza dal recupero ha scongiurato l’inevitabile degrado dovuto alla permanenza nei depositi, per lo più non dotati degli idonei parametri ambientali, spesso per lunghi tempi. Anche la tipologia di deposizione, in cassetta litica, associata a un suolo rimasto immune da significativi processi di antropizzazione (la necropoli si trova in un bosco) ha consentito in molti casi di preservare l’integrità dei reperti, riducendo al minimo il lavoro di ricomposizione in fase di restauro.
Una volta messa in luce durante il microscavo, la fibula si è rivelata fratturata in due punti in corrispondenza dell’arco (figg. 9-10). Tutti gli elementi costitutivi sono stati recuperati, facendo attenzione a non tralasciare e disperdere i minimi frammenti anche del materiale di natura non immediatamente distinguibile, che si è poi rivelato fondamentale per lo studio tecnologico. La fibula in bronzo risultava composta da cinque elementi in ambra inseriti dell’arco e altrettanti posti a chiusura nella parte terminale della staffa, più un piccolo vago mobile infilato nell’ago. Una volta prelevate, mantenendone la connessione, le ambre sono state pulite con tamponi di acqua demineralizzata per rimuovere il sedimento ancora molto umido; lo stesso intervento di pulitura, tramite mezzi meccanici, è stato eseguito sulle superfici bronzee, dove si è preservata una patina costituita dai carbonati stabili caratteristici delle leghe di rame. I vari elementi in ambra sono stati ricollocati nell’arco, che è stato ricomposto e incollato nei punti di frattura con resina acrilica (Paraloid ® B72 al 30% in acetone); infine anche i cinque vaghi cilindrici (uno dei quali lacunoso per metà) e quello globulare, sono stati inseriti nella parte terminale della staffa (fig. 11).



Note sulla tecnica esecutiva

Il rinvenimento di un reperto in stato frammentario può fornire una straordinaria occasione per l’osservazione di particolari e di dettagli tecnologici altrimenti non visibili; un caso emblematico è rappresentato dalla fibula, della quale durante le operazioni di restauro, è stato possibile ricostruire la particolare tecnica di esecuzione (fig. 12). La fibula è realizzata con un’unica verga in bronzo, ottenuta per fusione, modellata per martellatura, rifinita a levigatura, poi ripiegata. L’arco è rivestito da cinque elementi in ambra, uno centrale, di dimensioni maggiori e di forma rettangolare, due dischetti laterali e altri due in corrispondenza della piegatura dell’arco, posti a raccordo con le due estremità dell’arco, di forma conica. Nell’elemento centrale in ambra sono visibili tre fori passanti; in quello di mezzo, più ampio rispetto gli altri due, è inserito l’arco della fibula. I fori sono rivestiti con una sottilissima lamina di bronzo aderenti alle pareti, al cui interno è presente un’anima che le analisi hanno stabilito essere legno di salice (figg. 13-14). Sulla finalità dell’inserimento di queste laminette un’ipotesi è che potessero avere una funzione decorativa, creando un gioco coloristico basato sull’effetto lucente e dorato del bronzo, visibile nell’originaria trasparenza dell’ambra, secondo analoghe tecniche attestate in altri contesti geografici di medesimo ambito cronologico.
Al termine del restauro, la fibula, insieme a tutto il corredo è stata esposta presso la mostra “La tomba n. 10 della necropoli preromana di Pian de la Gnela di Pieve d’Alpago” presso il Municipio di Pieve d’Alpago, 1-20 aprile 2006 (figg. 15-16) e successivamente nella mostra “Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi” a Padova presso il Palazzo della Ragione, 6 aprile-13 novembre 2013.



Testo e disegni di Federica Santinon; immagini di Federica Santinon e Silvano Buzzarello

* La necropoli è stata individuata nel 2002 a seguito di una segnalazione da parte dell’ Associazione degli Amici del Museo dell’ Alpago che ha portato al recupero della situla istoriata in bronzo della tomba 1. Gli scavi sono stati condotti dalla Ditta CORA Ricerche Archeologiche snc., responsabile di scavo Michele Bassetti
** Il restauro delle tombe 1,6,7,8,10,11,12 è stato eseguito da Silvano Buzzarello, in organico presso il laboratorio fino al 2010; il restauro delle tombe 9, 11 e dei materiali da UUSS da chi scrive.
*** I materiali organici sono stati studiati da Elisabetta Castiglioni e Mauro Rottoli, lo studio antropologico dei resti cremati è di Elena Fiorin, dei resti ossei della tomba 10 di Alfredo Coppa e M. Leucci dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza , cfr. riferimento bibliografico, Gangemi G., Bassetti M., Voltolini D. 2015, capitoli X e XI.

Riferimenti bibliografici

Buzzarello S., Santinon F. 2015, “Il restauro dei corredi” in Le Signore dell’Alpago. La necropoli preromana di “Pian de la Gnela” Pieve d’ Alpago (Belluno) a cura di Gangemi G., Bassetti M., Voltolini D., pp. 179-182.

Gangemi G. 2013, scheda tomba 10 in Venetkens. Viaggio nella terra del Veneti antichi a cura di Gamba M., Gambacurta G., Ruta Serafini A., Tiné V., Veronese F., catalogo della Mostra (Padova, 6 aprile- 17 novembre 2013), pp. 407-408.

Forte M.1994, Note sulla tecnologia dei materiali in Il dono delle Eliadi. Ambre e oreficerie dei principi etruschi di Verucchio, catalogo della mostra (Verucchio, 16 luglio -15 ottobre 1994), pp. 55-61.

Ultimo aggiornamento

24 Giugno 2021, 17:49